"Mandala",
termine derivato da una parola in Sanscrito che significa
“cerchio”. Il cerchio delimita uno spazio che rappresenta
l'esteriorizzazione del proprio psichismo (sintesi della
manifestazione spaziale).
La presenza dei
mandala è rintracciabile in ambito indo-buddhistico nel Tibet
lamaistico, nell’induismo tantrico, nel buddhismo Vajrayana tibetano,
negli Indiani Navaho, negli indiani del Sud-Ovest (America).
_file/image001.gif)
Il mandala
Nelle filosofie
orientali il “mandala” viene utilizzato come mezzo per la
meditazione e tramite la sua costruzione o inserimento, l’uomo
libera lo spirito, purifica l'anima, entra in comunione con tutte le
forze positive presenti nel cosmo.
Sono chiamati
mandala non solo le figure circolari ma anche le forme
concentriche tipo: quadrati, triangoli, eccetera, purché
rimangano presenti le caratteristiche principali: ovvero un
centro dal quale l’energia viene emanata e una proiezione
nello spazio-tempo.
_file/image001.gif)
Il mandala
personale
Nel mandala
personale il centro è l’uomo stesso che si deve purificare,
trasformando le forze negative che porta dentro.
Nel mandala
vengono espulse tutte le energie negative attraverso la meditazione,
la presa di coscienza e la conoscenza del proprio Sé che avviene
durante il processo di costruzione del mandala stesso.
Mentre costruisce
il mandala, dall’esterno verso l’interno, l’uomo si concentra, si
individualizza, esegue quella ricerca interiore indispensabile
perchè si verifichi la catarsi, la purificazione.
Cambiamento
radicale che lo porterà alla trasformazione totale, tanto da
considerare il vissuto quale trapasso da uno stato antico e inadatto
ad uno nuovo e attuale. Una morte simbolica seguita da una nascita
ad un livello superiore.
_file/image001.gif)
La pratica del
mandala
La pratica del
mandala persegue tre scopi: centrare, guarire, crescere. Centrare
significa cogliere l'essenziale, valutare lo scopo prioritario dei
valori della vita. Per guarire, si intende l’espellere i
turbamenti, le forze perturbatrici, la malattia. Per crescere
si intende il proiettarsi verso una nuova dimensione, verso la meta
della catarsi.
Il paziente deve
disegnare e colorare, secondo la sua immaginazione, una figura
circolare. L’unica informazione che deve essere data al paziente è
che lo spazio interno del cerchio rappresenta il suo “Io” e che deve
essere colorato partendo dal centro.
Da questo disegno
si possono trarre interessanti conclusioni osservando la forma del
cerchio: se tracciato in modo nitido o tremolante, e analizzando i
colori usati per tinteggiare l’interno.
La stessa
costruzione e colorazione del cerchio hanno anche un fine
terapeutico, tanto da creare una liberazione nel soggetto. In questo
caso però il paziente deve sapere a priori che il simbolo porterà ad
una graduale organizzazione e presa di coscienza del suo “Io”.
Nel cerchio l’uomo
ritrova quelle forze che ha smarrito o che non ricorda di possedere.
La forma circolare è il simbolo dal quale tutto è nato. Tramite il
cerchio l’uomo può ricercare se stesso, protetto nello stesso tempo
da ogni attacco esterno. Al riparo, nella tranquillità, riesce a
scorgere il punto centrale, la fonte dalla quale scaturiscono tutte
le energie e comprende il significato del proprio valore umano e
nello stesso tempo divino.
_file/image001.gif)
Gli sciamani e
il mandala
Nei tempi passati
gli sciamani curavano utilizzando proprio il mandala. Lo sciamano
tracciava un cerchio nella sabbia e poi, con l’aiuto di alcuni
assistenti tracciava simboli e figure utilizzando argille di diverso
colore. In certi casi l’operazione durava anche qualche giorno. Il
momento più importante della cerimonia si aveva quando si faceva
sedere il malato nel centro del cerchio. Lo sciamano prelevava un
pugno di sabbia dal cerchio e lo strofinava sul capo del paziente,
specialmente nella zona interessata dal male, accompagnando il
rituale con canzoni e formule magiche, per attirare l’attenzione
degli spiriti benigni. Al termine del rito il paziente distruggeva
il mandala con il suo corpo; il male veniva allontanato e in molti
casi la malattia era immediatamente debellata.
Con il susseguirsi
delle varie azioni rituali, nello sciamano si verificava una forte
concentrazione psichica che alimentava la suggestione già presente
dall’inizio della costruzione del mandala. Questa concentrazione
psichica raggiungeva anche l’ammalato.
La distruzione del
mandala era il culmine dell’evento del transfert uomo-figura: il
male passava al mandala e tramite il mandala veniva annullato.
Al centro del
mandala risiede il Sé, quale entità totale e completa.
_file/image001.gif)
Jung e
l'archetipo del mandala
Il Sé nell’ottica junghiana diviene il punto di riferimento essenziale quale esempio
di ciò che di meglio si può trovare nella natura umana, è quindi
l’archetipo centrale o l’archetipo dell’ordine, attraverso il quale
può sor-gere il confronto e la rivalutazione della propria persona.
Il Sé posto al
centro dello spazio mandalico assume il valore di archetipo,
indicando una preforma concettuale ereditata nel tempo dagli uomini
che ci hanno preceduti.
L’archetipo quale
sintesi conciliante, quale “simbolo unificatore” che riunisce,
aggrega ciò che per altre vie rimarrebbe "scollato", e tale
riunificazione non può che avvenire su un piano più sottile e
superiore, ecco perché Jung assegna alle figurazioni
archetipiche la funzione trascendente.
I contrari si
uniscono intimamente per annullarsi su un piano che li trascende
ambedue, ecco il compito principale delle figure mandaliche, secondo
il pensiero junghiano.
Jung studiò per
oltre quattordici anni le figure mandaliche e giunse alla
conclusione che si trattava sicuramente di archetipi collettivi,
proprio per la regolarità e ripetitività dell'uso nelle varie epoche
e culture.
Queste figure sono
portatrici di caratteristiche comuni: presentano un centro verso il
quale tutto il sistema figurativo è orientato, sono delimitati da un
cerchio o da un poligono; altre volte le figure geometriche sono
sostituite da figure che le rappresentano quali la raggiera di
petali di un fiore, una croce, una ruota.
Per Jung i
mandala, quali figure ordinate, sia nell'antichità che nei tempi
moderni, rappresentano l'estetica e l'ordine, il bisogno ancestrale
del ritrovare la dimensione spirituale, il senso mistico
dell'esistere: l'uomo quale essere posto tra il cielo e la terra che
anela alla sintesi tra i due mondi. L'ordine quale realizzazione di
sintesi tra ciò che lasciato alla propria forza si disporrebbe
caoticamente e che invece guidato dal bisogno della crescita
interiore si organizza pur mantenendo la propria diversità
individuale dalle singole parti componenti. Accordo e armonia
diventano sinonimi dell'ordine.
L'accordo permette
di sinergizzare e integrare ciò che isolato varrebbe poco o nulla.
Parti diverse, addirittura in molti casi apparentemente opposte, si
coniugano in uno sposalizio che li supera, completandoli e
trascendendoli.
Secondo Jung
l'archetipo del mandala è rappresentabile simbolicamente da un
cerchio contenente una disposizione simmetrica figurale del numero
quattro e dei suoi multipli. Ogni altra figura che si allontani dal
cerchio o dal numero base che è il quattro, viene definita quale
"mandala turbato".
"Il simbolo
mandala è un fatto psichico autonomo, che si distingue per una
fenomenologia che si ripete sempre ed è identica in ogni luogo. E'
una specie di nucleo atomico, di cui però non conosciamo ancora
l'intima struttura e l'ultimo significato". (Jung, 1950).
Jung chiama il
processo di presa di coscienza "individuazione" che diventa
il mezzo con il quale ognuno può impartire un nuovo impulso per
orientarsi verso un cammino che lo porterà ad una visuale più ampia,
nella quale scorgerà ciò che da se stesso deve essere allontanato.
"Ogni più alto
stato di coscienza è condizione di una visione del mondo. Ogni
coscienza di basi e di intenti è, in germe, una visione del mondo.
Ogni progresso nell'esperienza e nella conoscenza significa un passo
ulteriore nello sviluppo della visione del mondo. Modificando
l'immagine che egli si crea del mondo, l'uomo pensante modifica
anche se stesso. L'uomo il cui Sole gira attorno alla Terra è
diverso da quello cui la Terra è satellite del Sole". (Jung,
1950, ed. Einaudi, Torino, 1959).

|