|
|
Il soffio vitale o
grande respiro è strettamente connesso alla mente e senza la
cosciente presenza di questa non è possibile usufruire del prana.
E' la volontà che deve incanalare il prana, ricordando che comunque
questo è superiore alla mente; ma è l'uomo che deve adeguarsi al
cosmo e non viceversa. Si potrebbe dire che la mente viene
vitalizzata dal prana e ciò accade per l'atteggiamento mentale
rivolto ad una volontà libera e volente. Ancora la Maya, quale
elemento condizionatore e limitativo, deve essere vinta e
annientata.
Questo potere viene anche detto: "potere della personalità",
per indicare la vittoria della mente sui sensi e il controllo delle
emozioni.
"Controllo del prana significa controllo della mente. La mente non
può operare senza l'aiuto del prana". (Sivananda, 1992, p. 93).
Si delinea, così, una coppia: prana-mente, ma per attuare
praticamente il metodo del controllo del prana bisogna cercare nelle
funzioni umane ciò che più si allaccia all'idea dell'elemento che ci
unisce con il creato. La scelta non può che cadere sull'atto
respiratorio, questo dare e avere continuo con l’ambiente esterno,
il prelevare l’aria condivisa da tutti gli altri esseri viventi;
ecco che nel pranayama si attua il controllo del respiro esercitato
dalla mente, per controllare il prana che scorre all’interno del
corpo.
“Il prana è il soprabito della mente. Se potete controllare il
prana, potete controllare anche la mente e il virya (seme); perché
prana, virya e mente sono sotto un unico collegamento (sambandha).
Se potete controllare la mente, il respiro cessa da sé; il prana
viene sotto controllo. Come c’è un sistema nervoso nel grossolano
corpo fisico, così c’è un sistema nervoso nel corpo astrale. Il
sistema nervoso del corpo fisico è sthula prana; il sistema
nervoso del corpo astrale è sukshma prana. C’è un’intima connessione
tre questi due prana; c’è interazione tra questi due prana”. (Sivananda,
1992).
Un respiro controllato comporta quale risultato un autocontrollo
delle varie parti del corpo, una loro buona interazione, una
armonica collaborazione, insomma il mantenimento dello stato di
salute psico-fisico.
"Il respiro diretto dal pensiero, sotto il controllo della
volontà, è una forza rivitalizzante e rigenerante, che può essere
coscientemente utilizzata per l’autosviluppo, per guarire molte
malattie incurabili e per molti altri scopi utili". (Ibidem, p.
95).
Il pranayama occupa il secondo posto nello hatha yoga, e per come
abbiamo visto si tratta di una pratica mediante la quale viene
controllata l'attività respiratoria.
Classificare il pranayama come una serie di esercizi respiratori
sarebbe non solo riduttivo, ma altamente fuorviante; difatti lo
scopo principale è quello di armonizzare il corpo con la mente e di
comprendere i significati dei ritmi cosmici e del mutuo scambio tra
l'uomo e il cielo.
“Contrariamente a quello che credono certe persone, Prânâyâma non
tratta solamente della respirazione; Prânâyâma non ha che poche
relazioni con essa se pure ne ha. La respirazione non è che uno dei
numerosi esercizi di cui la pratica ci conduce al vero Prânâyâma.
Prânâyâma, è la padronanza, il dominio del Prâna”.
(Vivekananda,
1950, p. 35).
La respirazione è un atto sia involontario che volontario, quindi a
piacimento è possibile esercitare una respirazione più o meno
profonda, più o meno veloce, eccetera; volendo è possibile inspirare
o espirare dal naso o dalla bocca, se dal naso usando ambedue le
narici, oppure una sola o alternandole. L'ossigeno è l'elemento
vitale gassoso necessario alla maggior parte degli organismi viventi
ed è l’agente principale della combustione. Il fuoco arde solo in
presenza dell'ossigeno, e il nostro corpo carbura le proprie
sostanze grazie a questo gas presente nell’aria.
Imparare a respirare vuol dire donare ad ogni cellula dell'organismo
il massimo delle possibilità vitali. Ma questo obbiettivo può essere
raggiunto solo se una mente mette in atto un piano di controllo e
governo dell'atto respiratorio.
"In realtà, Prânâyâma significa la padronanza di questo movimento
dei polmoni, il quale è abbinato alla respirazione: e non è che la
respirazione produce questo movimento, ma al contrario è questo
movimento che produce la respirazione. Il movimento aspira l'aria a
guisa di un mantice. Prâna fa muovere i polmoni, ed il movimento dei
polmoni aspira l'aria. Per cui Prânâyâma non è la respirazione
stessa; ma la padronanza del potere muscolare che mette i polmoni in
movimento. Così, questa forza muscolare, trasmessa ai muscoli, dai
nervi, e per mezzo dei muscoli, ai polmoni, che muovono in una
maniera determinata, è il prâna che occorre saper dominare per
praticare il Prânâyâma. Una volta padroni di questo prâna, noi ci
accorgeremo subito che tutte le altre manifestazioni del prâna, nel
corpo, cadranno lentamente sotto il nostro controllo". (Ibidem,
p.41).
Nel pranayama, delle tre fasi che compongono l' atto respiratorio:
inspirazione, ritenzione, espirazione, l’ attenzione viene portata
sulla seconda.
Nella ritenzione si ha una sospensione momentanea del ritmo
respiratorio, che può risultare più o meno prolungata dalla volontà.
Questa interruzione del dualismo avere e dare, inspirare ed
espirare, assume un particolare carattere simbolico, che è il punto
centrale del quale si occupa il pranayama.
E' durante la pausa, detta "Kumbhaka" che il prana viene elargito a
tutto il corpo e può assumere caratteristiche assegnategli dalla
mente.


I vari tipi
di Prana si diversificano secondo il compito proposto e
attraverso dei canali (Nadis) si distribuiscono in tutto il
corpo.
|
In questa fase, in
special modo se prolungata, si ha una quantità di ossigeno a
disposizione che è minore, ma siccome non bisogna confondere
l'ossigeno con il prana quale soffio vitale, essendo questo un
risultato dell'indirizzo mentale, è proprio nella pausa che si può
prendere coscienza di ciò che si deve attuare per conoscersi meglio.
"Il Prânâyâma, dunque, può anche tenere sotto controllo la coscienza
dell'ego, da cui hanno origine istinti, desideri e comportamenti.
Quando l'ego è controllato, anche il comportamento della persona si
modifica. Dopo una lunga pratica del Prânâyâma si instaura una
condizione di tranquillità, equilibrio e pace mentale: si perviene
così agli stadi più avanzati dello yoga (pratyâhâra, dhâranâ, dhyâna”
(Gore, 1988, p.104).
Il compito del pranayama è di pulire i canali (nadis) nei quali
circola l'energia vitale e conciliare le due correnti ida e pingala,
che solo nell’armonica correlazione di un terzo polo, quello neutro,
ovvero il canale centrale Sushumna può, conciliando gli opposti,
indicare la via di mezzo, simbolicamente segnata dalla sospensione
dell’atto respiratorio (kumbhaka).
“Il prãnãyãma è essenzialmente un controllo volontario del respiro,
ed è probabilmente questo il motivo per cui molte persone lo
definiscono come «esercizio respiratorio». Molti esercizi
respiratori, tuttavia, sono stati elaborati in base alla loro
capacità di ossigenazione. Nel prãnãyãma invece viene posto
l'accento sul kumbhaka, cioè sulla fase di temporanea sospensione
del respiro.
Nel kumbhaka, quando questo è protratto al massimo, si ha un
accumulo di anidride carbonica nei polmoni, mentre la quantità di
ossigeno disponibile in una data unità di tempo è minore rispetto
alla quantità di ossigeno disponibile nella respirazione normale
(nella medesima unità di tempo). È quindi sbagliato affermare che il
prãnãyãma fornisce al corpo una maggiore quantità di ossigeno.
Inoltre, quando pratichiamo il prãnãyãma seduti in una comoda
posizione, totalmente rilassati, il fabbisogno di ossigeno è ridotto
al minimo. Del resto, il corpo non è in grado di accumulare ossigeno
o di assorbirlo se non ne ha bisogno. Tenendo conto di ciò, si può
ben comprendere come il prãnãyãma non abbia un particolare potere di
ossigenazione quando viene praticata la fase del kumbhaka.” (Gore,
1988).

|
|