Pratica
antichissima, quella del salasso, facente parte dell’etnomedicina,
e, anche se caduta in disuso, ancora oggi praticata in Italia.
Il termine salasso
si riferisce al latino “laxare sanguinem” che vuol dire
far scorrere il sangue.
Nei tempi antichi,
si faceva fuoriuscire il sangue tramite un taglio praticato
con una lama affilata. La medicina popolare aveva però escogitato
uno stratagemma per poter praticare naturalmente il salasso, ed era
quello di ricorrere ad un animale dal nome comune di sanguisuga.
La pratica veniva
chiamata “sanguisugio” e gli animali utilizzati “mignatte”;
in realtà il loro vero nome è Hirudo medicinalis, e da quando Linneo
diede loro il nome, il salasso tramite le sanguisughe venne chiamato
anche irudinizzazione, dal nome dell’animale.
Nei tempi passati
era abbastanza facile reperire le sanguisughe che vivono nelle acque
stagnanti, e nei ruscelli nei quali la corrente dell’acqua è
moderata.
Oggi le
sanguisughe sono in estinzione, difatti risultano tra le specie di
animali protetti. La terapia del salasso tramite le sanguisughe si
basava sul concetto di estrarre dal corpo il “sangue marcio”, causa
della malattia. Tale salasso veniva praticato oltre che dai medici,
anche dai barbieri e dai guaritori popolari.
Oggi sappiamo,
grazie alla ricerca scientifica, che la sanguisuga, mentre succhia
il sangue, rilascia sostanze anticoagulanti, anestetiche
e antibiotiche, che risolvono il problema della formazione di
grumi di sangue, pericolosi dopo le piccole amputazioni praticate
dal chirurgo, evitando così il rischio di trombosi.

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