L’uomo, essere
implume, sovrastato dalle forze della natura, visse le sue prime
esperienze immerso in un ambiente sovrappopolato di piante. Dal
bosco ricavava ogni sorta di sostentamento; è quindi accettabile
l’idea di divinizzare o sacralizzare i vegetali, dando forma al “culto
degli alberi”.
Nell’intricata
foresta gli esigui spazi liberi assunsero un particolare
significato, come se l’interruzione fosse voluta da esseri
sovraumani per permettere all’uomo di mettersi in contatto con le
forze misteriose che governavano la vita dell’immensa distesa
arborea.
Nasceva così
l’idea del “tempio”, termine forse nato dall’approccio
dell’uomo con le piante: “Studiando i vocaboli teutoni per
indicare il "tempio", Grimm giunse alla conclusione che, fra gli
antichi Germani, i santuari più arcaici erano probabilmente le
foreste”. (Frazer,1992).
I boschi sacri
erano presenti tra i Celti, gli antichi Germani, nell’antica
Grecia e nell’impero Romano.

Animismo e
politeismo
Quindi boschi
sacri come templi naturali e alberi quali
esseri viventi con un’anima, un alto grado di intelligenza e una
spiccata sensibilità. Con tali presupposti il rapporto uomo-albero
diventava particolarmente ricco di attenzione: la pianta soffriva,
gioiva, e poteva vendicarsi. Si innescavano, così, dei rituali più o
meno complessi da praticare prima di raccogliere i frutti o di
tagliare un albero.
Un regno vegetale
composto da esseri animici e quindi con sentimenti e un’attività
sessuale; così come per gli uomini anche le piante si dividevano in
maschi e femmine, si accoppiavano e partorivano il frutto.
Secondo Frazer ad
un certo punto l’animismo si trasformò in politeismo e
l’uomo iniziò a considerare la pianta non come un essere
cosciente e pensante, ma come un abito, un involucro quale
dimora di un’anima che poteva spostarsi da pianta a pianta,
nasceva cosi l’idea dello spirito degli alberi e di divinità
arboree.
Il legame tra gli
eventi naturali e la presenza dello spirito degli alberi si
rafforzava, e si affermava la credenza che fossero gli spiriti
arborei a regolare le attività meteorologiche e quindi il risultato
dei raccolti.
L’intervento delle
divinità silvane si estendeva anche agli animali mantenendoli
sani e fecondi. Anche la donna veniva inclusa quale mezzo di
rifornimento di braccia per il lavoro, e la sterilità,
ritenuta sempre a carico della femmina, veniva curata con
l’intervento delle piante.

La cura della
sterilità
In questi casi
l’albero maestoso assumeva il valore del fallo primordiale e l’atto
di abbracciarlo simulava l’accoppiamento; altre volte era il frutto
del quale doveva nutrirsi la donna sterile ad assumere il
significato del seme della pianta, quale elemento fecondatore.
Il legame tra
l’albero e la fecondità femminile può nascere dal simbolo fallico
del fusto, come elemento fecondatore della terra, ma anche
dall’aspetto femminile che per la loro morfologia alcune piante
rivestono. Altre volte sono alcune parti specifiche della pianta,
quale il fiore, il frutto, la forma della foglia, a contenere il
valore terapeutico.
Frazer scrive come
nell’India viva una pianta di nome Emblica offìcinalis
ritenuta sacra perché è in grado di rendere feconde le donne. Gli
oranti rivolgono preghiere, offrono cibi e legano al tronco un
cordoncino rosso e giallo.
Anche la noce di
cocco è considerata in India apportatrice di fecondità, e i
sacerdoti la offrono alle donne desiderose di procreare. E’
abbastanza facile riconoscere nella noce di cocco una struttura che
ricorda l’utero materno e all’interno il liquido amniotico, oltre
l’aspetto esterno che richiama anche la forma di un grosso
testicolo.
L’azione si
rafforza quando è una pianta in particolare ad essere scelta quale
riferimento: “Nella cittadina di Qua, vicino a Calabar Vecchia,
cresceva una palma che garantiva il concepimento alla donna sterile
che ne mangiasse il frutto” (Frazer, 1992).
Le antiche
divinità sono totalmente o parzialmente antropomorfe e quindi si
sono generate esse stesse attraverso la gestazione e il parto.
Legarsi ad un elemento compartecipe del parto di una divinità,
permetteva di poter usufruire delle energie positive, per quelle
donne che dovevano partorire.

Silvoterapia
Negli anni Trenta
la pratica di sostare nei luoghi ricchi di alberi viene inserita
nella balneoterapia, tanto che con la voce silvoterapia
si intende anche il soggiornare nei luoghi boschivi, così
come veniva proposto ai malati di tubercolosi in quelli che si
chiamavano sanatori. In questo caso la silvoterapia viene proposta
alle persone che soffrono di asma bronchiale, bronchite
cronica, ipertensione arteriosa e anche per disturbi
psichici quali il nervosismo e l’insonnia.
Uno degli aspetti
scientifici dell’utilizzo della silvoterapia si rifà all’alto
contenuto di ioni negativi
(vedasi ionizzazione
negativa) che nei luoghi ricchi di alberi è oltremodo
presente. Sovente vengono abbinati dei semplici esercizi fisici
praticati nel bosco o nel parco e l’ausilio di pratiche quali
esercizi yoga o altro; in questo caso si può parlare di “silvoterapia
attiva”.
Resta di fatto che
la silvoterapia nelle sue origini è strettamente legata alle antiche
pratiche e credenze che rintracciavano nei luoghi boschivi forze,
energie ed esseri sovraumani con i quali si entrava in relazione;
ovvero si rintracciano aspetti magico-religiosi.

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